
Empedocle Amato

Salvatore Giunta

Mario Schifano

Ugo Cossu

Anne Donnelly

Ugo Guidi

Gaetano Zampogna
Mimmo Pesce
Mimmo Paladino

Nino Giammarco

Alejandro Kokocinshy
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Il cavallo, che ha attraversato i secoli galoppando con la storia degli
uomini, tollerandone la ferocia, ma anche condividendone la gloria,
è il tema di “Equus, semper”, una mostra in cui 11 artisti contemporanei
propongono l’immagine che più di ogni altra è riuscita a tradurre figurativamente
l’attrazione ed il timore dell’inconoscibile. Grazie alla polivalenza
semantica del mito, il cavallo si è prestato ad interpretare nell’arte
le più nobili aspirazioni spirituali, le paure occulte, le tragiche
realtà esistenziali. Lacerante emblema della catastrofe dei valori umani
in “Guernica”, esso ha riacquistato nell’età contemporanea una forza
ancestrale e magica, anche se ha visto dissolversi il mito umanistico
dell’eroico connubio con l’uomo. “La fantasia- scriveva Gustave Courbet-
più che immaginare il non visto, serve a trasformare ciò che si vede”:
simbolo universale di rigenerazione il cavallo è in grado di personificare
il divenire dell’essere, la forza dell’emotività, il dominio della spiritualità
sulla materia, ma anche i germi distruttivi del male.
Figura dinamica per eccellenza, l’infuocato cavallo di Amato
è l’esempio di un linguaggio espressivo che attraverso la capacità allusiva
del colore esalta valori eterni come l’audacia, la libertà, la tensione
vitale.
Gli studi sul dinamismo della corsa, che hanno affascinato tanti artisti,
sono alla base dei cavalli di Giunta il quale, pur avendo operato
una scelta aniconica, con sintesi estrema ripropone l’armonioso movimento
dell’animale nello spazio.
Nella sua disincantata interpretazione della realtà, Schifano
smitizza l’immagine equestre tradizionale, lontana ormai dall’aulica
solennità del passato e con volontà ludica la priva di tridimensionalità,
esaltandone lo splendore cromatico.
Con una struttura geometrizzata di picassiana memoria, Cossu
esprime nel suo cavallo e cavaliere il rigore di forme scultoree primitive,
evocatrici dell’arte cicladica e dense di allusioni psicologiche.
Collegati anch’essi agli aspetti più arcaici della figurazione, i cavalli
dipinti dalla Donnelly, quali raffinati emblemi araldici, s’innestano
in una storia millenaria di cultura mediterranea, acquisendo il valore
di epifanie di un’astorica e ideale bellezza.
Riferimenti al romanico e suggestioni dall’arte di Marini caratterizzano
i gruppi equestri di Guidi, realtà plastiche ricche di tensione,
in cui la sintesi delle forme diviene simbolo della fusione materiale
e spirituale tra uomo ed animale.
Zampogna, ipotizzando un dualismo antitetico tra natura e cultura
mediatica, alla grandiosità classica di un cavallo caravaggesco oppone
la realtà prosaica del mondo della pubblicità, svuotata di qualsiasi
valore etico.
Il cavallo tecnologico di Pesce, invece, simbolo negativo che
ha perduto assieme all’identità antica ogni suggestione di bellezza,
è figura anoressica, capace di visualizzare nelle forme minacciose il
potere della comunicazione di massa, manipolatrice della verità e prevaricatrice
delle coscienze.
Nell’immagine essenzializzata di Paladino, il cavallo, coagulo
armonioso di spontaneità e meditazione, è il guardiano dei nostri sogni
ma anche il luogo dei segreti, come il cavallo di Troia, un idolo primordiale
che sa guidare l’uomo verso l’eternità.
Il fascino perenne del mito classico si ripresenta nell’opera di Giammarco
che, attraverso le dinamiche deformazioni degli alati cavalli del Sole,
traduce la metafora di ogni sfida impossibile e nel contempo allude
alla necessità di ristabilire un equilibrato legame tra natura e cultura.
In bilico fra spiritualità medioevale ed esuberanza barocca, Kokocinsky
dipinge un cavallo dalle forme possenti, che affianca l’uomo nella sua
terrena solitudine, silenzioso ed enigmatico testimone dei lugubri fantasmi
dell’inconscio.
Pur vivendo in un’aura d’intangibilità, in quella condizione utopica
d’esistenza creata dall’opera d’arte, la figura del cavallo irrompe
con il suo dionisiaco furore anche nella nostra quotidianità, coinvolgendoci
in un dialogo interiore denso di rimandi culturali e psicologici, mantenendo
inalterata la capacità di costituire una fonte inesauribile d’ispirazione
poetica.
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